L’anatocismo colpisce anche le bancarelle del mercato

20 Mar

L’anatocismo colpisce anche le bancarelle del mercato

La famiglia di Roberto era conosciuta da tutti in paese, perché avevano un banco di vestiti e abbigliamento al mercato, uno dei più grandi di tutta la provincia.

 

L’assortimento andava dall’abbigliamento sportivo, all’intimo, alle calzature: tutti prodotti di buona fattura, a volte anche qualche capo di marca importante.

 

Dopo la scuola, Roberto raggiungeva i genitori e li aiutava nell’attività, imparando rapidamente il mestiere. Quel lavoro gli piaceva, ma non gli bastava: una volta diventato grande, decise di aprire un negozio nella sua città, da affiancare l’attività da ambulante. 

 

Nel corso del tempo, i negozi diventarono due, poi tre. L’attività cresceva con un discreto successo e allo stesso tempo cresceva l’esposizione finanziaria nei confronti delle banche.

 

Roberto non era esperto di finanza o di contratti bancari, però aveva la sensazione che gli interessi sui fidi della sua attività fossero troppo esosi. Non aveva nessun elemento per contestare quegli addebiti e perciò si rassegnava all’idea che fossero un costo necessario. 

 

Fu parlando con Mario, un vecchio amico che conosceva dai tempi delle elementari, che le cose presero una piega diversa. Roberto aveva sentito parlare di anatocismo leggendo i giornali, ma ne aveva soltanto una vaga idea. Mario invece era molto preparato sull’argomento, perché lavorava per una società di Como specializzata proprio  in illeciti bancari.

 

Mentre bevevano una birra nel pub della loro città, lo stesso dove andavano quando erano più giovani, Mario raccontò a Roberto in che modo le banche gonfiavano gli interessi sui fidi delle aziende praticando l’anatocismo e gli spiegò che questa non era un’eccezione, ma una prassi. Gli disse anche che l’azienda per cui lavorava aveva già aiutato migliaia di imprese a recuperare le somme che erano state addebitate illecitamente. 

 

Dato che Mario era un amico, Roberto si fidò e non ebbe esitazioni: raccolse tutta la documentazione disponibile e la inviò a Como, per farla esaminare dagli specialisti di Antares. Poche settimane dopo, Mario riferì a Roberto l’esito dell’analisi. Risultava che la banca aveva sottratto a Roberto diverse decine di migliaia di euro sul fido e anche di più sul contratto derivato.

 

Quel calcolo era approssimato per difetto, perché la documentazione era incompleta e mancavano alcuni periodi. Sottoposero alla banca una richiesta formale per avere una copia dei periodi mancanti, ricorrendo all’articolo 119 del testo unico bancario (TUB) che impegna gli studi di credito a fornire ai correntisti la copia della documentazione relativa ai loro contratti in essere, ma non riuscirono a raccogliere tutti i documenti di cui avevano bisogno.

 

Roberto diede l’incarico ad Antares per avviare l’azione legale contro la banca per il recupero degli interessi sui conti correnti, rinviando ad un secondo momento l’azione sul contratto derivato.  

 

Non ci fu bisogno di andare in tribunale, perché dopo qualche incontro fra gli avvocati di Antares e i legali dell’Istituto di credito, la banca presentò un’offerta di conciliazione. Si trattava di una somma che gli avrebbe permesso di rimettere a posto i conti dell’azienda, senza bisogno di affrontare tutto l’iter di un processo in tribunale. Roberto accettò. 

 

Insieme all’accordo, firmò anche una clausola di riservatezza che lo impegnava a non divulgare i termini di quell’accordo. Per questa ragione, i nomi di Roberto e Mario in questa vicenda sono nomi di fantasia, ma questa storia è una storia vera, così come è vera la storia delle centinaia di aziende che ogni anno si rivolgono ad Antares per avere chiarezza sui rapporti bancari e recuperare le spese addebitate in modo illecito.

 

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